LE GUERRE COMINCIANO DA QUI

Quando si parla di guerra ci si affretta a fare molti distinguo ed analisi geo-politiche: chi è l’aggredito e chi l’aggressore, chi deve essere sanzionato e chi no, chi è il terrorista? Insomma l’eterno gioco di politici e pennivendoli che, come sempre, si allineano con l’asse di potere dal quale dipendono. Si tace invece sulle responsabilità del proprio Stato e su quanto siamo tutti complici e vicini a queste guerre lontane.   Ecco perché ci sembra importante accennare a un argomento scomodo, scientemente taciuto dai media: le guerre interessano anche i nostri territori.   Direttamente, in quanto da qui partono le missioni dell’esercito italiano nei diversi fronti di guerra e qui hanno un ruolo attivo le varie basi Nato sparse nel paese, in particolare in Sardegna e Sicilia, ma non dimentichiamo la vicina Ghedi (BS), fornita di testate nucleari.    Le guerre però sono alimentate in modo diretto anche dall’apparato bellico industriale: tutte le fabbriche che producono armi, munizioni e componenti utili al settore militare o della difesa. Nel territorio della provincia di Lecco sono presenti, da una prima ricerca dell’Assemblea permanente contro le guerre costituitasi su quel territorio, circa 13 ditte che a vario titolo collaborano con il settore militare: la più famosa è la Fiocchi Munizioni. L’azienda più vicina territorialmente alla Valtellina è invece Telespazio a Gera Lario, che si occupa di comunicazioni satellitari per scopi non solo ci vili ma anche militari. Dal

punto di vista teorico invece, ci si prepara alla guerra con un clima sempre più intriso di militarismo: parate e rievocazioni dal tono nostalgico per le guerre passate, campi estivi degli Alpini (corpo militare coinvolto sui fronti di guerra passati e presenti) per bambini e ragazzi che sostengono l’importanza della disciplina e dell’obbedienza, interventi delle forze dell’ordine nelle scuole sugli argomenti più disparati, ma tutti affrontati come “problema di sicurezza”. Sempre nel mondo della scuola: l’alternanza scuola-lavoro, già deprecabile di per sé, all’interno di aziende legate al militare.

I clima di militarismo e nazionalismo che si respira viene difeso ad ogni costo attuando un fronte interno della guerra: la repressione sempre più dura di ogni dissenso.  Crediamo sia fondamentale portare avanti anche in Valtellina un lavoro di ricerca sulle ditte che collaborano con il mondo militare perché conoscere è il primo passo per agire da qui, per diventare un granello di sabbia nell’ingranaggio della guerra!!!

In questa prospettiva ricordiamo l’importante appuntamento del 18 maggio a Lecco:

CORTEO DISARMIAMO LA FIOCCHI, con partenza ore 14.00 da Piazza Garibaldi. (per info: guerrallaguerra@inventati.org).

 

RIBELLARSI AL FUTURO

Quando tempi oscuri si affacciano all’orizzonte assai sbagliato è il pensare che qualsiasi cosa succeda, tanto non toccherà a noi. Condito il tutto da fatalismo e rassegnazione si arriva a quell’indifferenza generalizzata che segna i nostri tempi moderni.

Non è solo una questione di crisi economica che, dai ceti medi in giù, colpisce duramente il nostro potere d’acquisto. In ogni parte del mondo si affermano regimi autoritari e le nostre stesse democrazie perdono credibilità alla prova dei fatti concreti che condizionano le nostre esistenze, all’ombra di precarietà, incertezze e repressioni del dissenso.

Una civiltà sempre più digitale, affamata di dati riguardanti ogni aspetto della nostra vita è solo l’aperitivo di una grande tavola che ricopre l’intero Pianeta. Si prospetta per il futuro una grande abbuffata, non solo economica, per i padroni della finanza, del Capitale e di chi ha in mano le leve del comando. E’ la solita arroganza di Potere, godendo nel decidere della vita e del destino di miliardi di persone e dell’intero eco-sistema.

Al di sopra di ogni governo il mondo digitale che ci circonda è inevitabilmente totalitario. Non esistono obblighi di legge nell’essere connessi a internet, sviluppare un rapporto erotico con il proprio smartphone o comunicare via social ma, senza strumenti digitali, non si va quasi da nessuna parte. Lavoro, burocrazia, acquisti, viaggi, servizi… tutto è connesso alla rete e i pesci siamo noi. Ribellarci al futuro significa non accettare passivamente tutto quello che ci viene calato dall’alto, vuol dire rifiutare la cultura dell’immagine, dell’apparenza, imparando a guardare la sostanza dei fatti. E’ nell’oggi che bisogna dunque agire, contestando ogni autoritarismo, togliendo consenso alla propaganda di guerra, disertando social e una dimensione virtuale che vita non è.

Un appello soprattutto alle nuove generazioni affinché la cultura della diserzione diventi pratica di libertà, anche nella prospettiva che una eventuale reintroduzione del servizio militare obbligatorio trovi la massima opposizione possibile.

Oggi esiste ancora qualche spazio di libertà ma affrettiamoci a ribellarci al futuro. I bimbi crescono, i genitori invecchiano e i tempi stringono.

IL 25 APRILE, GLI ALLEATI, LA RESISTENZA TRADITA

Nel 1945, con il conflitto ancora in corso, si stavano già delineando le prospettive di una futura guerra fredda che avrebbe condizionato la seconda metà del novecento. Sconfitte le potenze dell’Asse (Italia, Germania, Giappone) i vincitori del Risiko mondiale, ovvero gli Alleati a trazione anglo-americana e i sovietici, si apprestavano a dividersi le aree di influenza geopolitica.

Le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki non volevano certo piegare un Giappone allo stremo ma piuttosto sperimentare una inedita e distruttiva arma nucleare. Il messaggio di questa devastante potenza di fuoco era soprattutto diretto all’Unione Sovietica, futuro nemico e concorrente nell’egemonia mondiale.

Non va dimenticato che, mentre i partigiani combattevano contro l’esercito tedesco e le milizie fasciste, gli Alleati bombardavano le nostre città, mitragliavano i nostri paesi e provocavano innumerevoli vittime tra la popolazione civile, in nome della libertà e della democrazia.

Il 25 Aprile è la data ufficiale della Liberazione dal nazifascismo, segnando la fine di un Regime autoritario e guerrafondaio che aveva portato lutti e devastazioni all’intero Paese. Alla conquista dell’Impero Mussolini e i suoi gerarchi avevano azzerato l’autonomia politica dell’Italia, sconfitta militarmente e asservita dal 1945 ad oggi agli interessi economici e strategici degli Stati Uniti.

La Resistenza fu tradita innanzitutto dagli stalinisti del Partito Comunista Italiano che frenarono ogni spinta verso un cambiamento radicale contro le ingiustizie di uno Stato da sempre autoritario. Fu tradita dal comunista Palmiro Togliatti che nel breve incarico di ministro della Giustizia operò per una amnistia generale dei fascisti.

Molti ex partigiani furono invece perseguitati anche con anni di carcere mentre ex gerarchi e funzionari del passato Regime si riciclarono negli apparati della nuova Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Prefetti, questori, burocrati, dirigenti d’azienda cambiarono camicia continuando a fare carriera. Indicativo l’esempio di uno squallido personaggio come Marcello Guida: ex direttore del confino fascista di Ventotene, ce lo ritroviamo questore a Milano nel dicembre 1969, presente nella stanza al quarto piano della Questura, dove fu defenestrato il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli.

La strategia della tensione, la strage di Stato di Piazza Fontana, le repressioni negli anni Settanta e Ottanta, la diffusione dell’eroina, furono la risposta autoritaria ad una generazione che aveva rimesso in campo i valori della Resistenza.

Decenni di complicità delle opposizioni istituzionali con il padronato ed i Poteri forti hanno portato l’Italia contemporanea allo sfacelo, contribuendo a far salire i fascisti del terzo millennio al governo.

Perciò… attenzione! Sono autoritari, arroganti e pure guerrafondai.

Vorrebbero che l’Italia entrasse direttamente in guerra per l’Impero Occidentale in Ucraina, nel Mar Rosso, o in futuri fronti vari ed eventuali. Con la soddisfazione di essere servi sì degli americani, ma di serie A.

Quale intelligenza?

Dobbiamo finalmente sfatare il mito dell’intelligenza umana, ancora troppo spesso equiparata ad una qualità divina. La
nostra intelligenza ci consente di … scoprire le leggi della fisica e al contempo di pianificare genocidi… di curare malattie rare di alcuni
bambini, e al contempo di farne morire a migliaia, di fame o di guerra…
Mentre l’intelligenza “inferiore”, quella degli altri animali, non è mai riuscita a ideare bombe al fosforo.
Queste considerazioni ci sconvolgono un po’, perché nel linguaggio comune essere intelligenti è sinonimo di buon senso, per discernere l’utile
dal dannoso, il bene dal male, per cooperare in vista di un bene comune.
Poi scopriamo che l’astratto “bene di tutti” in bocca a governanti di ogni risma, diventa riservato a pochi, a danno dei molti. Gli eletti, siano
scienziati o giudici, intellettuali o Uomini di Stato, si scopre ben presto, non sono più meritevoli né più intelligenti degli altri…
E oggi, non fidandoci più dell’intelligenza umana, stiamo pensando di andare oltre, desiderandone una artificiale, che presumiamo più oggettiva e
incontestabile.
Anche nei nostri territori valtellinesi sta girando il carrozzone della propaganda pro Intelligenza Artificiale (I.A.), travestito da dibattito
su “rischi e opportunità” dell’ennesima imposizione tecnologica. Una rivoluzione devastante, quella dell’I.A., che porterà a un efficace iper-controllo
della popolazione attraverso ogni mezzo elettronico (telefono, computer, elettrodomestico). Dietro la comodità e la gratuità dei prodotti digitali si cela infatti la sottrazione continua dei nostri dati personali: dati resi disponibili a qualsiasi Multinazionale, Governo, Polizia bene o male intenzionata, presente e futura.

Per le leggi di Mercato non esiste nulla di gratuito e quindi nel mondo del digitale quando leggiamo “gratis” dobbiamo capire che il prodotto
in vendita siamo noi stessi, sotto forma di dati: i nostri desideri, le nostre abitudini, i nostri spostamenti, le nostre relazioni sociali,
insomma … La nostra libertà.
Il progetto militare dell’intelligenza artificiale è nato nel dopoguerra ma solo ora diventa realizzabile a livello globale. Nessuno parla dei retroscena
e degli impatti devastanti di queste tecnologie: per sostenere l’I.A. e la digitalizzazione si consumano vagonate di petrolio e d’acqua. Il petrolio serve a fornire l’energia elettrica ai server (che raccolgono i dati) in ogni angolo di mondo; le riserve di acqua servono a calmarne i bollori per evitare surriscaldamenti e blocchi. L’impatto ambientale degli apparati digitali è enorme e crescente, in ogni passaggio produttivo, dal reperimento delle terre rare per costruirli, che inquina terreni e falde, alla distribuzione di chilometri di cavidotti sotto l’asfalto e sotto gli oceani, e continua… fino allo smaltimento di ogni componente elettronico
gettato nella differenziata, che va a inquinare i villaggi-discarica africani.

Lo scopo della digitalizzazione e dell’I.A. non è la soluzione al problema ecologico, visto che esso stesso ne è parte e contribuisce anzi a aumentare la voracità energetica del sistema economico.

Dovremmo smettere di delegare all’intelligenza di altri, governanti umani o disumani artificiali, e iniziare ad avere più fiducia nelle nostre capacità come singoli e come comunità, adottando strumenti che non ci rendano schiavi ma che possiamo gestire e controllare.

Terra promessa e nazionalismo religioso

Pare non ci siano molte alternative per i palestinesi di Gaza. Con la scusa della guerra contro Hamas lo Stato di Israele sta operando un massacro senza precedenti, allargandosi fino alla Cisgiordania. I palestinesi sono un ostacolo alla Terra Promessa e quindi vanno tolti di mezzo in nome della democrazia. Un minuscolo
olocausto, un’affermazione di dominio tanto per mettere in chiaro chi decide e deciderà i destini del Medio Oriente.
Sei milioni gli ebrei assassinati nei campi di sterminio nazifascisti. Fortunatamente i palestinesi non sono così numerosi. Di certo agli attuali
governanti israeliani – esponenti della destra più religiosa e autoritaria – non dispiacerebbe l’idea di una drastica soluzione, non considerando
che le simpatie per gli ebrei durante e dopo le persecuzioni del secolo scorso sempre più stanno evaporando come le acque del Mar Morto. Governo,
esercito e coloni stanno eliminando migliaia di palestinesi ed è come se i 6 milioni di ebrei fossero stati uccisi due volte. Oggi i nazionalisti
religiosi vogliono dare il colpo finale all’occupazione delle terre palestinesi con una popolazione privata di ogni fonte di sussistenza, senza
più case abitabili e ridotta alla fame, da espellere in luoghi lontani.
Qualche ministro israeliano ha prospettato una deportazione in Congo o in Arabia Saudita. E ci si chiede… perché non in Florida o in California?
Ipocrisia democratica di U.S.A., Unione Europea, Paesi dell’area occidentale e opportunismo economico dei governi arabi stanno scavando la fossa al
popolo palestinese che, a questo punto, è diventato scomodo un po’ a tutti.
Si rinnovano poi alleanze e si riconfermano affinità politiche. Il governo tedesco con isteria ha subito represso le prime manifestazioni pro Palestina
e persegue ogni atto, considerato antisemita, forse per cancellare qualche senso di colpa. I governanti italiani, eredi del fascismo storico,
sono in piena sintonia con quelli israeliani, a dimostrazione che da ogni padre autoritario del Nazionalismo può generarsi un rinnovato Fascismo,
in ogni epoca e in ogni luogo. Anche in un Paese fondato da superstiti di Auschwitz.
E poi basta con questo mito irrazionale del Messia e di una Terra Promessa che per volontà divina, diritto antico e moderna forza militare deve
essere ad ogni costo la Palestina. Per noi terra promessa significa un Pianeta dove c’è posto per tutti, pulito da ogni autorità e logiche di dominio.
Eco-socialmente sostenibile.

L’insostenibile pesantezza della democrazia

Con un forte astensionismo che a volte tocca punte di oltre il 50% governa non chi ottiene la maggioranza ma chi prende più voti. Di quale governo del popolo stiamo dunque parlando? Popolo che in gran parte fatica ad arrivare a fine mese, sfiduciato dalle istituzioni democratiche.
Tutto questo pare interessare poco ai governanti di turno che, una volta prese in mano le leve del comando, grazie ad una pericolosa delega in bianco,
si rendono indipendenti dai loro elettori. Leggi e regole sempre più restrittive limitano la vita dei semplici cittadini mentre la tabella di
marcia dettata dai soliti poteri forti avanza incontrastata.
Speculazioni economiche, energetiche, sanitarie, immobiliari restano la costante di ogni governo, orientato ad uno sviluppo sempre
meno sostenibile in senso ecologico e sociale. Il disastro ambientale avanza inesorabile, si allarga l’abisso tra ricchi e poveri, mentre i ceti medi
scivolano in basso.
Quante nefandezze e crimini in nome della democrazia. Dall’invio di armi e munizioni ai Paesi belligeranti al voler realizzare opere faraoniche
(il ponte sullo stretto) all’Alta Velocità penalizzando la rete ferroviaria locale, alla devastazione del territorio montano, non solo a causa di
infrastrutture olimpiche. Il 2026 si avvicina. Nel frattempo studenti in piazza per il diritto allo studio e alla casa
vengono brutalmente manganellati. Cariche contro scioperi e picchetti di lavoratori della logistica e di tutti coloro che protestano per affermare
sacrosanti diritti e spazi vitali. Addirittura sindacalisti di base arrestati con l’accusa di “estorsione” per la richiesta di aumenti salariali.
Purtroppo si tende a confondere l’idea di democrazia con quella di libertà, usata da tutti gli uomini e le donne di Potere per sciacquarsi la bocca durante le campagne elettorali. Il concetto di uguaglianza è andato disperso da tempo e pure la fraternità è messa assai male.
Ma è appunto dalla fraternità che bisognerebbe ripartire, con meno social e più rapporti diretti, fisici e orizzontali tra le persone. Ricreare
forme di comunità partendo dalla base dei nostri bisogni è oggi indispensabile per uscire dall’apatica rassegnazione.
I nostri problemi non sono solo un fatto personale che possiamo risolvere individualmente. La questione è sociale ed è socialmente che dobbiamo
esprimere i nostri bisogni contro chi ci vuole umiliati e offesi. Ricreare forme di autonomia per sviluppare proteste e lotte dal basso è l’azione
collettiva più logica e intelligente da mettere in campo.
Tutto il resto è aria fritta.

Democrazie totalitarie

Prima del 1948 in Palestina convivevano tranquillamente palestinesi arabi e palestinesi ebrei. E c’era pure qualche cristiano. Una libera federazione amministrata senza la piramide dello Stato che sostituisse il protettorato inglese (ancora loro a creare problemi) non era certo contemplata. Si è scelto la soluzione

peggiore, cioè fondare lo Stato di Israele per raccogliere gli ebrei della diaspora dando così avvio alla catastrofe. Un vero peccato anche perché gli ebrei sparsi per il mondo sono sempre stati una ricchezza culturale e non pochi hanno contribuito al pensiero antiautoritario anarchico e rivoluzionario.

Gli ebrei nazionalizzati e dotati di uno Stato autonomo non hanno fatto altro che diventare a loro volta dei colonialisti togliendo terre, diritti e libertà agli abitanti del luogo non ebrei. Cioè agli arabi palestinesi.

Tutto il resto è conseguenza che arriva fino ai giorni nostri con il genocidio di Gaza. Un

grave problema che ci crea Israele e che i suoi metodi autoritari, la detenzione amministrativa con la carcerazione pur in assenza di reati, un sistema soffocante di controllo, la presenza costante sul territorio di polizia e militari è diventato un pessimo

modello per ogni democrazia occidentale.

E nessuno ci toglie dalla testa l’idea che anche una democrazia può essere totalitaria.

Contro i violentatori della montagna

Devastazione e saccheggio stanno caratterizzando il rapporto con una montagna sempre più urbanizzata, resa serva e colonizzata da interessi e poteri forti metropolitani. Nel nostro caso valtellinese si parla di Milano, capitale economica d’Italia e motore
di quelle politiche liberiste che poi fanno scuola nel resto del Paese.
Per chi non avesse le idee chiare ricordiamo che liberismo significa favorire le speculazioni
di pochi a danno dell’intera comunità e di un territorio, sempre più violentato
dalle logiche del profitto fine a se stesso.
Cementificare, asfaltare, colonizzare la montagna vuol dire molto semplicemente
ucciderla di morte lenta. Incendi, alluvioni, frane ci ricordano le nostre responsabilità
quotidiane a partire da una classe di amministratori marpioni non certo orientati al bene comune. Se poi è vero che ognuno ha i governanti che si merita, le complicità nella devastazione coinvolgono
ogni ceto sociale.
Anche il silenzio è complice nel permettere il continuo consumo di suolo e la realizzazione di grandi opere spesso inutili e dannose. Gli stessi eventi calati dall’alto, stile Olimpiadi Invernali 2026, sviluppano un colonialismo turistico come pessimo modello economico e
culturale che può solo danneggiare la montagna. Le Alpi che abitiamo andrebbero vissute con rispetto e umiltà, non vanno trasformate nel “paese dei balocchi” per soddisfare i desideri
consumisti di un turismo invasivo, sterile e assai inquinante. In unrapporto di simbiosi, queste montagne hanno fornito risorse vitali, autonomia e rifugio ai nostri antenati che vivevano una dura vita in autosufficienza, curando i boschi, costruendo abitazioni, baite, rifu-gi, muri a secco e terrazzamenti lasciati in eredità alle nostre gene-razioni. E’ un peccato che questo patrimonio stia andando alla malora con l’abbandono delle terre alte per seguire le sirene dell’economia industriale e il mito della città come luogo di liberazione.
Ostacoli alla modernità, resistenti ed accoglienti allo stesso tempo, le montagne, nel corso dei secoli, hanno ospitato eretici, perseguitati religiosi e politici, contrabbandieri, ribelli, profughi, partigiani …
Ci si allarma oggi per l’arrivo di migranti e non si pensa agli innu-merevoli giovani che dopo anni di studio abbandonano le nostre valla-te in cerca di migliori prospettive future.
Altri giovani (pochi) stanno invece coltivando vigne e terreni incol-ti, recuperando antiche sementi locali e cercando di animare cultu-ralmente paesi, frazioni e contrade. Alcuni provengono da fuori Valle lasciando per necessità o per scelta città soffocanti e zone urbani-sticamente degradate.
Che la montagna continui ad essere territorio di accoglienza per tut-ti coloro desiderosi di viverla con rispetto per sopravvivere a tempi sempre più difficili.
La maledizione delle Alpi colpisca invece chi la montagna la devasta e la saccheggia solo ed esclusivamente per accumulare denaro e potere. 

Non ce la raccontano giusta

Non ce la raccontano giusta

Nell’agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia invadono la Cecoslovacchia, stroncando sul nascere le aperture democratiche e libertarie della Primavera di Praga e del Sessantotto globale. I governanti della piccola repubblica rivolgendosi alla popolazione danno l’indicazione di fare solo resistenza passiva, coscienti che sarebbero stati deposti e sostituiti da un governo fantoccio imposto dagli occupanti. Dubček e Svoboda rinunciano al loro potere, legittimato dal popolo, evitando così distruzioni e inutili spargimenti di sangue. Breznev e i dirigenti URSS hanno militarmente vittoria facile ma l’invasione della Cecoslovacchia segna per l’Impero sovietico l’inizio della fine, una decadenza lenta fino alla dissoluzione.

Altri tempi e altra storia quanto accaduto in Ucraina dal 2014 ad oggi. La cosiddetta “rivoluzione arancione” si rivela un golpe orchestrato per inserire il Paese nell’orbita occidentale sottraendolo all’influenza russa. In questi periodici e continui scontri geopolitici tra USA, Russia e Cina, vogliamo conoscere le dinamiche del Risiko mondiale, restando fedeli all’antico motto: né Dio, né Stato, né servi, né padroni!

Capire innanzitutto che non ce la raccontano giusta e che la prima vittima di ogni guerra è la verità. Chi si opponeva al Primo Macello Mondiale (1914-1918) era considerato un filo-austriaco. Essere contrari al Secondo Macello (1939-1945) significava essere disfattisti e anti-italiani. Oggi a essere critici sulla benzina Nato gettata sul fuoco russo, si viene bollati come filo-putiniani. Deludente come sempre l’Unione Europea che ancora una volta si manifesta essere una unione monetaria delle banche e dell’alta finanzia del capitalismo occidentale a trazione anglosassone.

Nessuna apertura c’è stata ai disertori di entrambe le parti, ma solo sanzioni e altra benzina sul fuoco. Trent’anni di liberismo economico d’assalto in Ucraina non ha portato molto benessere alla popolazione: manodopera a basso costo, uteri in affitto, “cavie” per industria farmaceutica, emigrazione all’estero per sopravvivere: basti pensare alle decine di migliaia di badanti ucraine da anni in Italia. Con lo scoppio della guerra civile nel 2014 e l’invasione russa del 2022 la mobilitazione è permanente sia in campo civile che militare. Stop a scioperi e diritti sindacali, libertà di licenziamenti e legge marziale, chi rifiuta la divisa è costretto alla galera.

<<Armiamoci e partite>> dice Zelensky per riconquistare Donbass, Crimea, e rimanere legati al Fondo Monetario Internazionale, alla Nato e alle multinazionali già presenti da tempo in Ucraina. Non importa il massacro delle popolazioni e il pericoloso nazionalismo alimentato su entrambi i fronti, in un crescendo equilibrato di armamenti che non consente vincitori e vinti. Non importa neppure che il futuro governo di Zelensky e dei suoi sceneggiatori sarà ispirato allo Stato di Israele.

Per il momento, a guerra ancora in corso, le principali aziende italiane (Eni, Enel, Leonardo…) stanno già organizzando i grandi affari della ricostruzione e aziende italiane potranno essere delocalizzate in Ucraina, nella sicurezza che eventuali dissidenti, scioperanti e ribelli sociali subiranno la stessa sorte dei palestinesi. Mentre lo spettro della Terza Guerra Mondiale si aggira non solo in Europa, i fantasmi di Dubček e Svoboda ci ricordano che se i poteri buoni, le piccole eccezioni che confermano la regola non hanno speranza, ogni Impero, forte di solidi poteri criminali, non ha futuro. Questo assurdo sistema prima o poi collasserà sulle spalle delle nuove generazioni.

Montagna e libertà: no al luna park alpino

Montagna e libertà: no al luna park alpino

Da tempo ormai sentiamo come un ritornello ripetere il mantra del turismo sostenibile, anzi slow! Questa sarebbe l’unica salvezza per i nostri territori, ma non è altro che il tentativo di spremere l economia ’ turistica basata sullo spostamento di masse di persone nei nostri spazi ristretti: basti vedere l’assalto degli ultimi anni alla Val di Mello.

Spazi che sempre più perdono la loro connotazione di bellezza, la gratuità del paesaggio e stupore della scoperta della differenza.

Assistiamo al fiorire di luoghi sempre più omologati, standardizzati e virtuali. L’ultimo esempio in ordine di tempo è quello dei borghi meta-verso a realtà aumentata, dove dotati di visori si può passeggiare per le strade e osservare tradizioni antiche (o inventate ad arte, se necessario): i primi due comuni italiani sperimentatori di questa trovata sono Albaredo e Buglio in Monte, grazie ai finanziamenti di regione Lombardia.

Altri nefasti esempi sono qr-code e telecamere che spuntano a ogni angolo, anche sui sentieri, perché tutto sia a portata di click e link, sicuro e tracciato. Il controllo totale: la spontaneità scompare. Le  panchine giganti, i ponti sospesi, le piattaforme-belvedere e i parchi avventura: mete da raggiungere comodamente per un selfie, adatti alle esigenze commerciali dei vicini centri urbani.

Il prossimo mega-evento Milano Cortina 2026, con i suoi nuovi mostri di cemento e la militarizzazione dei territori, non farà che peggiorare una situazione già pessima. Nella neo-lingua del turismo sostenibile, ogni spazio naturale non sfruttato ci viene descritto come trascurato o pericoloso, ed ecco allora, di emergenza in emergenza, tra lupi, orsi e cinghiali, la necessità di controllare e addomesticare tutto. La natura a misura d’uomo: unico padrone del pianeta che sta distruggendo.

Noi crediamo invece che la montagna debba tornare ad essere uno spazio di libertà e di ribellione, dove l’intervento umano faccia passi indietro. Ci sembra quindi sempre più urgente contrastare questo modello artificiale di montagna e di società che sta prendendo piede nei nostri territori, a favore invece di più spazi liberati, sperimentazioni di autodeterminazione e autogestione dal basso, senza mediazioni istituzionali ed economiche. Non abbiamo ricette pronte o soluzioni facili, e crediamo che solo dal confronto diretto e dal dubbio che abita in ognuno di noi possano partire nuove esperienze.

Sicuramente sappiamo cosa non vogliamo: il lunapark alpino hi-tech abitato da automi dotati di visori, in cui la natura è relegata sullo sfondo e gli animali divengono merce da sfruttare per i “prodotti a km 0″ oppure pericoli da abbattere.