Tra biologico, intensivo e digitale: agricolture al bivio

Gli anni di pandemia sono stati un periodo proficuo per aumentare la pressione da parte di istituzioni e multinazionali hi-tech della digitalizzazione in agricoltura: trattori autonomi, telecamere e droni, intelligenza artificiale, robotica, … promozione degli ogm… Sarebbe però meglio distinguere tra agricoltura e allevamento e tra ‘bio’ e ‘intensivo’.

Ma bisogna considerare che nella coltivazione l’importanza del biologico può essere anche sensibile, visto che a fronte di costi maggiori, consente di preservare l’ambiente e i terreni e di evitare inquinanti in dosi massicce.

Lo stesso non si può dire dell’ “allevamento biologico”: l’allevamento cosiddetto bio, che dalle nostre parti coincide con quello “degli alpeggi” è un paravento a favore di etichette e pubblicità bucoliche e richiamo a tradizioni passate, per nascondere la realtà costante fatta di sfruttamento: capannoni, antibiotici, foraggi ogm, uccisione e ingravidamento forzato … una serie di orrori che gli umani nella storia moderna hanno dimostrato di saper estendere anche ai propri simili, in modo asettico e razionale. Un sistema inaccettabile verso gli umani, ma approvato e finanziato se coinvolge altri animali senzienti.

Senzienti vuol dire che ‘sentono’ paura, emozioni, ricordi, che in natura avrebbero rapporti sociali, che apprendono esperienze e le trasmettono fra generazioni.

Non c’è miglior rappresentazione del capitalismo, che nella catena dell’allevamento intensivo.

Ma dobbiamo fare i conti col fatto che l’allevamento intensivo è l’unico che consente di portare bistecche e formaggi nella maggioranza dei piatti, a costi relativamente ridotti, ridotti anche grazie alla pioggia di sostegni al settore derivati dalle tasse di tutti.

Senza l’allevamento intensivo i prezzi e i costi produttivi sarebbero vertiginosi, un po’ come la presunta soluzione tecnologica della carne creata in laboratorio (l’ennesima non-soluzione commerciale).

Le fette di prosciutto (intensivo oppure bio) sugli occhi ci evitano di vedere le correlazioni tra filiera di prodotti animali e inquinamento globale, con presenti e future pandemie (mucca pazza, covid 19, peste suina, etc..), della distruzione di foreste per coltivazione da soia ogm (destinata ai foraggi anche valtellinesi), degli incendi dolosi boschivi anche nelle nostre zone.

Ma soprattutto ci evitano di considerare la evitabile sofferenza diretta e pianificata verso chi si trova dall’altra parte della parete di un allevamento o di un macello. Verso chi, rispetto a noi, comunque senziente è però nato in un corpo diverso.