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GLI ANIMALI NON FANNO LA GUERRA

Le notizie di bombardamenti e distruzione sono ormai all’ordine del giorno. Nonostante moti di indignazione e proteste, la vita quotidiana prosegue come sempre, e queste notizie diventano il sottofondo, il nuovo clima in cui viviamo. Si rischia, col tempo di farci l’abitudine. Tante sono le guerre, i genocidi, che non trovano posto tra le notizie.

Tanti sono i crimini in tempo di pace di cui quasi nessuno parla. La materia prima che rifornisce gli scaffali del supermercato globale arriva da allevamenti-lager e laboratori di vivisezione. E’ che si attua la violenza quotidiana contro i non-umani, gli altri animali.

Per giustificare il loro sfruttamento abbiamo stabilito distanze e eretto muri, tra noi e gli altri animali. Distanze che si assottigliano, quando consideriamo il destino che ci accomuna di fronte a piccoli e grandi eventi. Le catastrofi colpiscono tutti indifferentemente. Le esalazioni radioattive corrodono dall’interno i corpi, come a Chernobyl. Le alluvioni devastanti distruggono paesi e affogano anche le mucche stipate nei capannoni.

L e guerre condotte dagli Stati contro le popolazioni, colpiscono anche animali innocenti, totalmente estranei a qualsiasi pretesa egemonica.

Assistono, gli altri animali, al nostro affannarci nella distru-zione della natura, degli equi-libri, di interi territori.

Se la conta dei caduti delle guerre ci lascia senza fiato e non spazio ad altri pensieri, arriverà forse il giorno in cui riusciremo a guardare con occhi diversi a questi animali, così distanti e meno intelligenti.

Scopriremo di avere qualcosa da imparare, a partire dal semplice fatto che gli animali non la fanno, la guerra.

SEMPRE PIU’ AVIDI, SEMPRE PIU’ INFAMI

All’avidità non c’è confine. Centodieci paesi del Sud del Mondo propongono di tassare maggiormente (e giustamente) le multinazionali per i loro (ingiustificati) extra profitti.

Gerhard Haderer

Gerhard Haderer

In sede ONU, il 16 agosto, la proposta ottiene 44 astensioni e 8 voti contrari. Tra gli astenuti non poteva mancare l’Italia, in buona compagnia con il resto dell’Unione Europea.

Assolutamente contrari ad una maggiore tassazione Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia e Nuova Zelanda, colonialisti di ma-trice anglo-sassone, con l’aggiunta di Giappone, Corea del Sud e Israele, Paesi da tempo acquisiti nell’area Occidentale e democratica.

Dietro l’ipocrita retorica delle nostre democrazie, ormai in avanzata fase di decomposizione, a tirare le fila restano i Poteri forti, le multinazionali, i militari e un’alta finanza capace di spostare virtualmente infinite quantità di denaro, in un abile gioco di prestigio a danno di tutti noi.

TRENT’ANNI FA

Forse trent’anni fa qualche lettore di questi “fogli eRetici” non era ancora nato, altri erano troppo piccoli, mentre chi era già adulto, un po’ di memoria la potrebbe rispolverare, non solo riguardo ai bei ricordi della giovane età.

Tanto per cominciare, vivendo nel Novecento e nel Secondo Millennio l’euro non aveva ancora vampirizzato le nostre economie domestiche, il pianeta era meno inquinato e gli estremi eventi meteo non erano così frequenti e devastanti.

Tempi non eccezionali ma certo migliori, con i treni che discretamente funzionavano, automobili che viaggiavano con cilindrate più modeste, le Poste e la Sanità pubblica, pur a rilento, svolgevano le loro funzioni.

E’ vero, tutto era più rallentato e il tempo era meno tiranno, ci si telefonava di casa in casa o ci si vedeva in piazza e nelle comunicazioni non esisteva l’ansia del sapere e del conoscere nell’immediato quello che accadeva intorno a noi. Si era forse per questo meno indifferenti e meglio accul- turati, con scuole più serie e librerie maggiormente frequentate. Ogni problema burocratico pote-va essere affrontato parlando a viva voce con persone in carne ed ossa che qualche responsabilità se la dovevano assu-mere.

Insomma… ognuno ci metteva la faccia nelle sua azioni, senza bisogno di trasmetterle in mondovisione. Si era anche più pacifisti, convinti che NON esistessero guerre giuste.

E poi, ammettiamolo onestamente, questi ultimi trent’anni di modernità digitale, tra social, spid, smart, internet, I.A., e altro ancora ci stanno ingarbugliando l’esistenza con questioni semplici che diventano sempre più complicate. Tutto è ultraveloce, immediato, tracciato in tempo reale, ed è peggiorata la qualità della vita.

E allora? Allora cerchiamo di rallentare i ritmi salvando il salvabile, il territorio rimasto, i negozi superstiti, l’autentico artigianato residuo di un piccolo mondo antico in fase di estinzione. Limitiamo le nostre follie consumiste disertando il più possibile Amazon, la Grande Distribuzione, le carte di credito, la propaganda di guerra e tutto quanto di energivoro e autoritario ci circonda.

Almeno nel nostro piccolo, delle salutari forme di resistenza mettiamole in campo con soddisfazione, poiché indifferenza e rassegnazione sono un veleno quotidiano che uccide la nostra umanità di morte lenta.

CHI FERMA LO STATO DI ISRAELE?

Bombardamenti continui e mirati. Mirati a massacrare intere popolazioni devastando quartieri e territori, con la scusa di combattere il terrorismo.

Colpire nel mucchio è terrorismo puro e la guerra è la sua massima espressione, praticata da eserciti e promossa dai vari Stati nazionali. Qui sta il problema alla radice.

La fondazione dello Stato di Israele nel lontano 1948, con l’idea di farne una nazione per ogni ebreo della diaspora nel poter vivere in sicurezza protetto da violenze antisemite. Peccato che in quelle terre, oltre a qualche ebreo già residente da tempo in pace e prosperità, abitavano tranquillamente degli arabi palestinesi. Tutti costoro sono stati considerati indigeni da espellere per conquistare spazi e territori ai nuovi insediamenti sionisti. Si stima in circa 800mila il numero dei palestinesi costretti a lasciare le proprie case nel 1948, i campi profughi sono nati da lì. Una volta messe le radici lo Stato di Israele si è espanso a macchia d’olio con altri territori occupati (1967) e non più liberati. Punta di diamante nella Cisgiordania militarizzata un movimento di coloni ebrei arroganti e invasivi che, armati in nome di Dio, rivendicano tuttora una Terra Promessa di antica e biblica memoria. Come se Dio avesse aperto un’agenzia immobiliare in Medio Oriente riservando agli ebrei il monopolio della Palestina.

Israele è oggi una democrazia tecno-colonialista. Internamente fa sfoggio di dibattito democratico, opposizioni formali, un parlamento, fazioni contrapposte sulla gestione del potere. Verso i non-ebrei applica siste- maticamente la discriminazione razziale e religiosa. Nel continuare il genocidio dei palestinesi per annettersi la Cisgiordania la macchina da guerra israeliana insiste a bombardare oltre a Gaza, il Libano, lo Yemen, la Siria, l’Iran… Terrorismo di Stato e lavoro sporco. E’ questo il ruolo di Israele nel Medio Oriente. Colpire gli “Stati Canaglia”, “l’Asse del Male”, cioè i regimi nemici della democrazia e del capitalismo occidentale. Sono invece schie-rati dalla parte “giusta” Turchia, Azerbaijan, Arabia Saudita, Egitto, Giordania ed Emirati Arabi, sia pur assai deboli in fatto di democrazia.

Dietro l’ipocrisia umanitaria di USA ed Europa l’appoggio politico e militare a Israele è appunto funzionale nel fare piazza pulita degli ultimi ostacoli al monopolio occidentale, in un’area geopolitica di vitale importanza strategica ed energetica.

Dopo aver distrutto e destabilizzato Iraq e Libia ora la parte del leone tocca a Israele con continui crimini contro l’umanità, recitando il ruolo di vittima del terrorismo. Del resto tra colonialisti ci si intende.

L’astensionismo vince le elezioni

Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Vince le elezioni non chi ottiene la maggioranza ma chi prende più voti. Questo fregandosene del fatto concreto che circa il 50 per cento dei potenziali elettori disertino le urne. Vogliono poi falsare le percentuali ottenute da ogni partito calcolando i dati sull’intero corpo elettorale. Se, ad esempio, per ogni 100 elettori un partito ha preso il 24 per cento significa che con la metà dei votanti la percentuale va dimezzata, riducendola a 12 voti. Non bisogna essere dei geni della matematica per capirlo. E l’hanno ben capito i politici che ottengono benefici da ogni tornata elettorale, in questi spettacoli poco entusiasmanti che segnano le schermaglie tra governo e opposizioni. Della recente onda astensionista, infatti, ne parlano poco e male. A differenza dei molti qualunquisti che una volta riposta la scheda nell’apposita urna (funeraria) tornano alla loro indifferenza quotidiana, gli astensionisti hanno un grande merito. Non danno carta bianca a chi durante il proprio mandato si eleva dal corpo elettorale portando avanti gli affari suoi. E’ già un primo passo di libertà rifiutare il perverso rapporto a senso unico elettore/eletto. Il problema è come proseguire con almeno altri cento passi, magari sviluppando una forte idea di bene comune facendosi carico di ogni azione orientata all’uguaglianza sociale. Nel frattempo ci resta una democrazia da operetta dove ministri e burocrati di ogni epoca geopolitica continuano a emettere leggi al cupo suono del codice penale.

I moderni Lanzichenecchi sono benestanti e vengono da Milano –

Arrivano a ondate dal venerdì pomeriggio a sera inoltrata. Ripassano la domenica in un lungo, continuo ed infinito serpentone di automobili nel ritorno verso la metropoli e i suoi dintorni. Non ci portano la peste come i mercenari lanzichenecchi che attraversarono la Valtellina nel 1630 ma l’inquinamento da gas di scarico non è da poco. In quanto a devastazione questo turismo di massa mordi e fuggi, usa e getta, non fa sconti alle nostre vallate già abbondantemente deturpate da impianti idroelettrici e linee dell’alta tensione. Nuove gallerie, tangenziali, svincoli e quell’insieme di opere utili ad una maggiore viabilità sono la risposta amministrativa a questo periodico esodo turistico. Diminuendo i tempi di percorrenza aumenta inevitabilmente il traffico, asfaltando sempre più il fondovalle ormai invaso da una miriade di capannoni stile Brianza spuntati come funghi. E’ una moderna forma di colonialismo fondata sulla speculazione di chi, economicamente benestante, si sente padrone del mondo. Ceti medi in ascesa, piccola e grande borghesia, arricchiti dell’ultima ora, danno cosi l’assalto a Bormio, a Livigno, ai luoghi del lusso artificiale, occupando seconde case, alberghi e appartamenti in palazzi cittadini trapiantati in alta montagna. L’Aprica è un esempio indicativo. La peste del profitto, dove tutto è mercato, ha contaminato anche i nostri territori e i suoi abitanti a causa di una Milano capitale della speculazione immobiliare e finanziaria, con un alto numero di abitanti impossibilitati a vivere una casa con affitti sempre più esosi e insostenibili. Abitare nell’hinterland e spostarsi a Milano per lavoro è ormai una scontata realtà per quelle decine di migliaia di persone che difficilmente potranno permettersi un fine settimana di lusso organizzato, nelle nostre Alpi. Territori deturpati, consumo di suolo, traffico congestionato, costi lie- vitati sull’onda turistica, prezzi in vertiginoso aumento per abitazioni troppo spesso affittate per brevi periodi sono i principali svantaggi con cui fare i conti. Non dimenticando il pessimo modello culturale che passa attraverso il consumismo monetario; nel rapporto esclusivamente mercantile tra turisti e abitanti del luogo. Per chiudere il cerchio ci mancavano le Olimpiadi invernali 2026, i dannosi fondi del PNRR e un mondo asettico, digitale e altamente energivoro. Ai lanzichenecchi della Borsa di Milano non importa preservare i paesaggi e i delicati ecosistemi di montagna. Tra un affare e l’altro, nel tempo libero, non hanno problemi a invadere le nostre vallate con i loro potenti SUV, mentre a noi, anche questa estate, con la ferrovia Tirano-Colico interrotta per infiniti lavori, ritoccherà restare senza treno.

LE GUERRE COMINCIANO DA QUI

Quando si parla di guerra ci si affretta a fare molti distinguo ed analisi geo-politiche: chi è l’aggredito e chi l’aggressore, chi deve essere sanzionato e chi no, chi è il terrorista? Insomma l’eterno gioco di politici e pennivendoli che, come sempre, si allineano con l’asse di potere dal quale dipendono. Si tace invece sulle responsabilità del proprio Stato e su quanto siamo tutti complici e vicini a queste guerre lontane.   Ecco perché ci sembra importante accennare a un argomento scomodo, scientemente taciuto dai media: le guerre interessano anche i nostri territori.   Direttamente, in quanto da qui partono le missioni dell’esercito italiano nei diversi fronti di guerra e qui hanno un ruolo attivo le varie basi Nato sparse nel paese, in particolare in Sardegna e Sicilia, ma non dimentichiamo la vicina Ghedi (BS), fornita di testate nucleari.    Le guerre però sono alimentate in modo diretto anche dall’apparato bellico industriale: tutte le fabbriche che producono armi, munizioni e componenti utili al settore militare o della difesa. Nel territorio della provincia di Lecco sono presenti, da una prima ricerca dell’Assemblea permanente contro le guerre costituitasi su quel territorio, circa 13 ditte che a vario titolo collaborano con il settore militare: la più famosa è la Fiocchi Munizioni. L’azienda più vicina territorialmente alla Valtellina è invece Telespazio a Gera Lario, che si occupa di comunicazioni satellitari per scopi non solo ci vili ma anche militari. Dal punto di vista teorico invece, ci si prepara alla guerra con un clima sempre più intriso di militarismo: parate e rievocazioni dal tono nostalgico per le guerre passate, campi estivi degli Alpini (corpo militare coinvolto sui fronti di guerra passati e presenti) per bambini e ragazzi che sostengono l’importanza della disciplina e dell’obbedienza, interventi delle forze dell’ordine nelle scuole sugli argomenti più disparati, ma tutti affrontati come “problema di sicurezza”. Sempre nel mondo della scuola: l’alternanza scuola-lavoro, già deprecabile di per sé, all’interno di aziende legate al militare.

I clima di militarismo e nazionalismo che si respira viene difeso ad ogni costo attuando un fronte interno della guerra: la repressione sempre più dura di ogni dissenso.  Crediamo sia fondamentale portare avanti anche in Valtellina un lavoro di ricerca sulle ditte che collaborano con il mondo militare perché conoscere è il primo passo per agire da qui, per diventare un granello di sabbia nell’ingranaggio della guerra!!!

In questa prospettiva ricordiamo l’importante appuntamento del 18 maggio a Lecco:

CORTEO DISARMIAMO LA FIOCCHI, con partenza ore 14.00 da Piazza Garibaldi. (per info: guerrallaguerra@inventati.org).

 

RIBELLARSI AL FUTURO

Quando tempi oscuri si affacciano all’orizzonte assai sbagliato è il pensare che qualsiasi cosa succeda, tanto non toccherà a noi. Condito il tutto da fatalismo e rassegnazione si arriva a quell’indifferenza generalizzata che segna i nostri tempi moderni.

Non è solo una questione di crisi economica che, dai ceti medi in giù, colpisce duramente il nostro potere d’acquisto. In ogni parte del mondo si affermano regimi autoritari e le nostre stesse democrazie perdono credibilità alla prova dei fatti concreti che condizionano le nostre esistenze, all’ombra di precarietà, incertezze e repressioni del dissenso.

Una civiltà sempre più digitale, affamata di dati riguardanti ogni aspetto della nostra vita è solo l’aperitivo di una grande tavola che ricopre l’intero Pianeta. Si prospetta per il futuro una grande abbuffata, non solo economica, per i padroni della finanza, del Capitale e di chi ha in mano le leve del comando. E’ la solita arroganza di Potere, godendo nel decidere della vita e del destino di miliardi di persone e dell’intero eco-sistema.

Al di sopra di ogni governo il mondo digitale che ci circonda è inevitabilmente totalitario. Non esistono obblighi di legge nell’essere connessi a internet, sviluppare un rapporto erotico con il proprio smartphone o comunicare via social ma, senza strumenti digitali, non si va quasi da nessuna parte. Lavoro, burocrazia, acquisti, viaggi, servizi… tutto è connesso alla rete e i pesci siamo noi. Ribellarci al futuro significa non accettare passivamente tutto quello che ci viene calato dall’alto, vuol dire rifiutare la cultura dell’immagine, dell’apparenza, imparando a guardare la sostanza dei fatti. E’ nell’oggi che bisogna dunque agire, contestando ogni autoritarismo, togliendo consenso alla propaganda di guerra, disertando social e una dimensione virtuale che vita non è.

Un appello soprattutto alle nuove generazioni affinché la cultura della diserzione diventi pratica di libertà, anche nella prospettiva che una eventuale reintroduzione del servizio militare obbligatorio trovi la massima opposizione possibile.

Oggi esiste ancora qualche spazio di libertà ma affrettiamoci a ribellarci al futuro. I bimbi crescono, i genitori invecchiano e i tempi stringono.

IL 25 APRILE, GLI ALLEATI, LA RESISTENZA TRADITA

Nel 1945, con il conflitto ancora in corso, si stavano già delineando le prospettive di una futura guerra fredda che avrebbe condizionato la seconda metà del novecento. Sconfitte le potenze dell’Asse (Italia, Germania, Giappone) i vincitori del Risiko mondiale, ovvero gli Alleati a trazione anglo-americana e i sovietici, si apprestavano a dividersi le aree di influenza geopolitica.

Le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki non volevano certo piegare un Giappone allo stremo ma piuttosto sperimentare una inedita e distruttiva arma nucleare. Il messaggio di questa devastante potenza di fuoco era soprattutto diretto all’Unione Sovietica, futuro nemico e concorrente nell’egemonia mondiale.

Non va dimenticato che, mentre i partigiani combattevano contro l’esercito tedesco e le milizie fasciste, gli Alleati bombardavano le nostre città, mitragliavano i nostri paesi e provocavano innumerevoli vittime tra la popolazione civile, in nome della libertà e della democrazia.

Il 25 Aprile è la data ufficiale della Liberazione dal nazifascismo, segnando la fine di un Regime autoritario e guerrafondaio che aveva portato lutti e devastazioni all’intero Paese. Alla conquista dell’Impero Mussolini e i suoi gerarchi avevano azzerato l’autonomia politica dell’Italia, sconfitta militarmente e asservita dal 1945 ad oggi agli interessi economici e strategici degli Stati Uniti.

La Resistenza fu tradita innanzitutto dagli stalinisti del Partito Comunista Italiano che frenarono ogni spinta verso un cambiamento radicale contro le ingiustizie di uno Stato da sempre autoritario. Fu tradita dal comunista Palmiro Togliatti che nel breve incarico di ministro della Giustizia operò per una amnistia generale dei fascisti.

Molti ex partigiani furono invece perseguitati anche con anni di carcere mentre ex gerarchi e funzionari del passato Regime si riciclarono negli apparati della nuova Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Prefetti, questori, burocrati, dirigenti d’azienda cambiarono camicia continuando a fare carriera. Indicativo l’esempio di uno squallido personaggio come Marcello Guida: ex direttore del confino fascista di Ventotene, ce lo ritroviamo questore a Milano nel dicembre 1969, presente nella stanza al quarto piano della Questura, dove fu defenestrato il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli.

La strategia della tensione, la strage di Stato di Piazza Fontana, le repressioni negli anni Settanta e Ottanta, la diffusione dell’eroina, furono la risposta autoritaria ad una generazione che aveva rimesso in campo i valori della Resistenza.

Decenni di complicità delle opposizioni istituzionali con il padronato ed i Poteri forti hanno portato l’Italia contemporanea allo sfacelo, contribuendo a far salire i fascisti del terzo millennio al governo.

Perciò… attenzione! Sono autoritari, arroganti e pure guerrafondai.

Vorrebbero che l’Italia entrasse direttamente in guerra per l’Impero Occidentale in Ucraina, nel Mar Rosso, o in futuri fronti vari ed eventuali. Con la soddisfazione di essere servi sì degli americani, ma di serie A.

Quale intelligenza?

Dobbiamo finalmente sfatare il mito dell’intelligenza umana, ancora troppo spesso equiparata ad una qualità divina. La
nostra intelligenza ci consente di … scoprire le leggi della fisica e al contempo di pianificare genocidi… di curare malattie rare di alcuni
bambini, e al contempo di farne morire a migliaia, di fame o di guerra…
Mentre l’intelligenza “inferiore”, quella degli altri animali, non è mai riuscita a ideare bombe al fosforo.
Queste considerazioni ci sconvolgono un po’, perché nel linguaggio comune essere intelligenti è sinonimo di buon senso, per discernere l’utile
dal dannoso, il bene dal male, per cooperare in vista di un bene comune.
Poi scopriamo che l’astratto “bene di tutti” in bocca a governanti di ogni risma, diventa riservato a pochi, a danno dei molti. Gli eletti, siano
scienziati o giudici, intellettuali o Uomini di Stato, si scopre ben presto, non sono più meritevoli né più intelligenti degli altri…
E oggi, non fidandoci più dell’intelligenza umana, stiamo pensando di andare oltre, desiderandone una artificiale, che presumiamo più oggettiva e
incontestabile.
Anche nei nostri territori valtellinesi sta girando il carrozzone della propaganda pro Intelligenza Artificiale (I.A.), travestito da dibattito
su “rischi e opportunità” dell’ennesima imposizione tecnologica. Una rivoluzione devastante, quella dell’I.A., che porterà a un efficace iper-controllo
della popolazione attraverso ogni mezzo elettronico (telefono, computer, elettrodomestico). Dietro la comodità e la gratuità dei prodotti digitali si cela infatti la sottrazione continua dei nostri dati personali: dati resi disponibili a qualsiasi Multinazionale, Governo, Polizia bene o male intenzionata, presente e futura.

Per le leggi di Mercato non esiste nulla di gratuito e quindi nel mondo del digitale quando leggiamo “gratis” dobbiamo capire che il prodotto
in vendita siamo noi stessi, sotto forma di dati: i nostri desideri, le nostre abitudini, i nostri spostamenti, le nostre relazioni sociali,
insomma … La nostra libertà.
Il progetto militare dell’intelligenza artificiale è nato nel dopoguerra ma solo ora diventa realizzabile a livello globale. Nessuno parla dei retroscena
e degli impatti devastanti di queste tecnologie: per sostenere l’I.A. e la digitalizzazione si consumano vagonate di petrolio e d’acqua. Il petrolio serve a fornire l’energia elettrica ai server (che raccolgono i dati) in ogni angolo di mondo; le riserve di acqua servono a calmarne i bollori per evitare surriscaldamenti e blocchi. L’impatto ambientale degli apparati digitali è enorme e crescente, in ogni passaggio produttivo, dal reperimento delle terre rare per costruirli, che inquina terreni e falde, alla distribuzione di chilometri di cavidotti sotto l’asfalto e sotto gli oceani, e continua… fino allo smaltimento di ogni componente elettronico
gettato nella differenziata, che va a inquinare i villaggi-discarica africani.

Lo scopo della digitalizzazione e dell’I.A. non è la soluzione al problema ecologico, visto che esso stesso ne è parte e contribuisce anzi a aumentare la voracità energetica del sistema economico.

Dovremmo smettere di delegare all’intelligenza di altri, governanti umani o disumani artificiali, e iniziare ad avere più fiducia nelle nostre capacità come singoli e come comunità, adottando strumenti che non ci rendano schiavi ma che possiamo gestire e controllare.